Inauguriamo questo quarto anno di Heisenberg con l’idea di offrire dei chiari percorsi di crescita in ogni numero, e il primo è quello della trasformazione: come trasformare un imprevisto in opportunità.
Per una serie di sincronicità con cui la vita non finirà mai di stupirmi, l’ospite di questa intervista, Omar Hassan, è l’esempio più splendido di come trasformare un imprevisto in opportunità, e non era per niente voluto, me ne sono reso conto dopo averlo intervistato.
Immaginate un ragazzo della periferia milanese, padre egiziano e mamma italiana, cresciuto fra due culture, comincia a praticare la boxe ed è molto bravo. Potrebbe sfondare sul ring, oppure potrebbe perdersi fra le tante tentazioni di guadagno facile della metropoli. E invece?
Prima trasformazione: il diabete non gli permette di diventare un pugile professionista.
Ma, seconda trasformazione, scopre che la sua innata passione per il disegno potrebbe essere la sua strada e si diploma all’Accademia di Brera.
E, terza trasformazione, recuperando una sua vecchia intuizione, sposa la boxe e la pittura, si esibisce in performance in cui boxando contro una parete dipinge con i guantoni, e questo gli regala fama internazionale.
Oggi vive fra Milano e Miami ed è osannato dalla critica d’arte di tutto il mondo.
Omar Hassan è un ragazzo delizioso, è ancora rimasto il ragazzo di Pioltello, perché per quanto ti puoi trasformare, certe cose importanti, l’umiltà, la gentilezza, non si devono mai perdere. Ed è questa la più grande lezione di ogni trasformazione, mai tradire se stessi.
Leggete questa intervista perché vi trasformerà davvero.
Le tappe della trasformazione
Omar Hassan, per chi ti conosce la tua storia è nota.
Eri un pugile promettente ma a 19 anni poiché soffri da tempo di diabete sei stato costretto ad appendere i guantoni al chiodo. E poi sei andato all’Accademia di Brera e hai intrapreso la carriera artistica.
Ma a me interessa il momento “eureka!”, c’è stato un momento in cui hai capito che potevi dipingere facendo boxe e unendo le due passioni. Come e quando è avvenuta l’intuizione?
Sì, c’è stato un momento preciso.
Considera che io ho cominciato a disegnare e dipingere prima di fare boxe, già dalle elementari, disegnare era il mio modo di esprimermi.
I miei hanno dovuto imbiancare mille volte le pareti di casa perché io le dipingevo con i pastelli a olio, figurati come si arrabbiavano.
La scintilla che mi fece capire che potevo dipingere con i guantoni è avvenuta durante un allenamento. Può sembrare un particolare macabro, ma secondo me è un modo per vedere la bellezza dove nessuno la vede.
Ero in allenamento, avevo 15 anni, e durante uno scambio ruppi il naso al compagno di ring. Ci fu molto sangue e schizzi. Il maestro mandò me al sacco mentre sistemavano il naso del mio compagno.
Quando tirai i pugni sul sacco lasciai due timbrini di sangue. Ora, devi sapere che io arrivavo in palestra sempre sporco di vernice, il mio maestro mi chiamava “sbianchin de lussu” perché sapeva che amavo dipingere, e quindi per me l’associazione con la pittura è stata immediata.
Tanto che non vedevo l’ora di tornare a casa per provare nel garage, ed ero talmente preso dalla foga di questa novità che ho rovinato i miei guantoni migliori che costavano una cifra.
Anche se avevo 15 anni, erano le undici di sera di un giorno qualunque, mi sono detto che questa cosa non l’aveva fatta mai nessuno. Ma non potevo svilupparla, così l’ho messa nel cassetto delle idee, fiducioso che sarebbe arrivato il momento giusto.
E infatti, quando è arrivato il momento giusto?
E soprattutto, se dovessi riassumere e descrivere le tappe della trasformazione, le scelte giuste che ti hanno portato ad essere l’artista affermato che sei, adesso col senno di poi quali sono stati secondo te i tuoi “momenti-chiave”?
Il percorso delle idee, se ci pensi, è meraviglioso.
Quando ho scoperto questa cosa del dipingere boxando non immaginavo minimamente che sarebbe diventato il mio tratto distintivo, anche perché allora usavo più che altro gli spray per la street art, semmai pensavo che boxando avrei preparato il fondo di bianco delle pareti su cui usare gli spray.
Il mio primo momento-chiave è stata la scelta di andare all’Accademia di belle arti di Brera.
Io a 19 anni non sapevo cosa fare, mi sono confidato con mia zia che suona il piano, le ho detto “Zia, io non so cosa fare”, e lei “Ma tu cosa fai tutto il giorno”, “Zia, io dipingo e basta”, e lei “Allora prova l’accademia”. È andata così.
A Brera poi ho incontrato una figura-chiave, l’artista contemporaneo Alberto Garutti, e lui mi ha fatto capire che quella era la mia strada.
In contemporanea capivo che il pugilato non mi era possibile portarlo avanti, mentre l’arte riesce a non darti limiti anche se tu sei limitato. L’arte non va mai in pensione, anche nelle condizioni più sfortunate ti dà modo di uscire, guarda Frida Kahlo.
Per tirar fuori l’idea della boxe ho dovuto aspettare il 2015, quando ho potuto tenere una mostra in una grandissima galleria a New Bond Street a Londra.
Considera che Londra è il vero banco di prova per gli artisti contemporanei. Se fai lì una performance e vieni riconosciuto e apprezzato allora sfondi in tutto il mondo; se invece non vieni apprezzato allora vuol dire che non vali, lì c’è una meritocrazia molto democratica.
La critica inglese ha risposto meravigliosamente, mi hanno intervistato da ogni angolo del mondo, ho dovuto aprire Instagram perché non ce l’avevo, io non sono molto social, e insomma, sebbene io avessi già le mie tecniche particolari, questa della boxing art è diventata la mia cifra caratteristica.
Queste in breve sono state le mie “tappe della trasformazione”.
Il compito di un artista
Ti ho sentito dire in un’intervista una cosa molto bella.
Sei cresciuto con un papà egiziano e musulmano e una mamma italiana e cristiana. E loro ti hanno insegnato il rispetto e il valore della fede. Ma tu non credi in un dio ma hai fede “in un’energia grande che ci coinvolge tutti quanti”, sono parole tue.
Bellissima definizione, ti va di approfondire con noi?
Guarda, i miei genitori mi hanno insegnato che c’è una differenza fra le persone religiose, che si aggrappano ai riti esteriori anche se poi fanno di tutto, e le persone di fede, che non solo si comportano bene ma trovano nelle loro credenze la forza di superare ogni avversità.
Le persone di fede hanno una forza incredibile, e questa forza è l’amore, non importa poi se il libro in cui credi è la Bibbia, o il Corano.
La verità è che la storia delle religioni ha strumentalizzato nel mondo questa potenza meravigliosa dell’amore e spesso l’ha trasformata in odio.
Anch’io credo in qualcosa di superiore, ma non in un Dio padre che ci guarda dall’alto, credo in un’energia di vita che è la somma di tutti i nostri comportamenti, sia nelle nostre storie individuali sia nel grande flusso della storia.
Beh, se poi vogliamo dirla tutta, la scienza, la fisica quantistica, ci insegnano che tutto nell’universo è energia, non solo il Big Bang e la materia, ma ad esempio noi stessi, gli elementi della vita discendono dai materiali delle supernove esplose miliardi di anni fa.
Esatto, un religioso ti dirà che tutto questo l’ha voluto Dio, io mi limito a testimoniare, perché la mia religione è l’arte, la mia poetica, e la mia ricerca punta a voler tracciare il tempo, e lo traccio attraverso i miei gesti pittorici, il tempo di un pugno, il tempo di uno spruzzo.
Io come artista mi occupo del mio tempo e della storia, un artista è come una spugna, deve documentarsi, capire, ascoltare il più possibile il mondo in cui vive per fare un concentrato di pensieri ed emozioni che è la sua opera d’arte.
Questo è il compito di un artista.
Un’altra tua bella definizione è che la religione può essere la principale causa di guerre nel mondo, mentre l’arte può essere divisiva ma è la cosa più pura che c’è.
Cos’è per te l’arte? Spiegalo con parole semplici…
Diciamo che per me l’arte è un’esperienza conoscitiva sensibile.
L’arte non ha bandiera, gli artisti vivono appieno ogni attimo e credono tantissimo in ciò che creano perché svelano la loro anima attraverso quello che fanno.
Ma a volte il significato di un’opera resta misterioso, io sono stanco di vedere le persone che escono dai musei e dicono “non ho capito”.
Considera che in me si fondono due anime, da un lato amo alla follia l’arte concettuale, ma dall’altra vengo da Pioltello, vengo dalla vita vissuta, ho dovuto lavorare e vendere i miei quadri per continuare a fare quadri, quindi non posso fare un’opera all’anno invendibile perché non la capisce nessuno.
Io personalmente ci tengo a esprimere allo spettatore il mio pensiero dell’opera che sta vedendo, infatti quando espongo tu trovi in una teca la mia spiegazione a pennarello del significato, del dietro le quinte di ciò che ho rappresentato.
L’arte della boxe
Passiamo all’altra anima della tua vita, l’arte della boxe. Tu hai cominciato a fare boxe a 14 anni e hai trovato un grande allenatore, Ottavio Tazzi, che ti ha aiutato a diventare uomo.
Dici spesso che la boxe è la più grande metafora della vita. Perché? Ce lo spieghi bene?
Perché siamo tutti pugili nella vita.
Ognuno deve avere il coraggio di fare sempre un round in più e siamo soli sul ring.
Hai delle pause dove il tuo allenatore, i tuoi genitori, il tuo amore, tutti provano a darti dei consigli sulle strategie da seguire, ma poi devi ritornare da solo a combattere il tuo match, e la vita non ti permette di uscire dal ring.
Ti sembrerà strano ma il pugilato è come l’arte.
Nell’arte tu dai tutto per fare una mostra, la prepari per sei mesi ma l’inaugurazione dura solo due ore, dopo tre mesi è finita ma tu già subito dopo l’inaugurazione pensi a quale altra avventura artistica puoi tentare.
E così è nella boxe, appena finisci un incontro, soprattutto se hai vinto, già hai la foga di pensare al prossimo traguardo.
Perché sei così legato al tuo maestro Tazzi. C’è qualche lezione particolare che ti ha lasciato?
Beh, Ottavio era una persona eccezionale, camaleontica, sapeva essere la versione giusta del maestro a seconda del tipo di allievo, era duro con chi aveva bisogno di quello e gentile con chi rispondeva solo alla gentilezza, ogni ragazzo reagisce in maniera diversa e lui indovinava sempre come comportarsi.
A me ha lasciato un dono meraviglioso, è riuscito a farmi accettare le conseguenze sportive della mia malattia, facendomi capire che le mie doti tecniche dovevo metterle al servizio degli altri, quindi mi ha tenuto dentro l’ambiente volgendo al meglio la mia passione di trasmettere l’arte della boxe.
Lui è riuscito a non farmi odiare questo sport, pensaci, sei molto forte, vinci tutti gli incontri, ma poi non puoi gareggiare per il diabete, ovvio che per la frustrazione ero tentato di mollare tutto, perché dovevo andare in palestra a guardare gli altri e a soffrire?
Inveco Ottavio mi ha detto “No, tu vieni qua e dài a tutti gli altri quello che non hai potuto fare tu”. E questa, se ci pensi, è la più grande forza trasformativa dell’amore.
Qualche consiglio di Omar Hassan per imparare a trasformare un imprevisto in opportunità
C’è un quadro, un’installazione tua che ti rappresenta particolarmente, che ha un significato forte e unico per te? Ce lo vuoi spiegare?
Io nelle mostre faccio sempre un autoritratto che è un semplice pallino arancione che cola dalla cornice e arriva fino a terra. Questo pallino lo faccio sul muro, non c’è tela, c’è solo la cornice.
Il pallino per me è il primo vero fiato della bomboletta, tutti quelli che fanno spray painting devono agitare, fare uno spruzzo, che è il primo vero respiro e poi iniziano a lavorare.
Quindi quel pallino è la genesi di tutta questa cultura degli street artist, in cui io sono cresciuto e in cui sono immerso.
Per gli altri è solo lo scarico della bomboletta prima di iniziare, per me è l’inizio di tutto, il simbolo di ogni principio. E l’ho trasformato in un’opera d’arte.
Come dico io, “C’è sempre un modo diverso di vedere le cose”, anche nell’arte.
Per finire, salutiamoci con dei consigli per i lettori, è la mia prassi.
La pratica dell’arte o dell’arte della boxe ti ha insegnato delle routine di bellezza o disciplina che vorresti condividere con i lettori? In ogni gesto può esserci arte? Qualche consiglio per tirar fuori l’essenza artistica che è in noi?
Bella domanda. Prima di tutto mi sento di dare un consiglio generale.
Io dico sempre che bisogna fare esperienza, lanciarsi e provare a fare le cose, perché a volte il fermarsi troppo e rigirare nei pensieri fa più danno che altro e non ti permette di essere pronto a trasformare un imprevisto in opportunità.
Come per l’arte, se tu hai un’idea o un mood, se non ti metti a tirarla fuori facendo resta solo un’idea.
Se poi mi chiedi una routine da consigliare, posso dire che per me è fondamentale svegliarsi al mattino presto. Lo so che milioni di persone mi manderanno a quel paese, ma a me la luce del mattino dà tutte le risposte, in quelle due ore io trovo l’energia per risolvere tutti gli sbattimenti della giornata, anche le cose organizzative e burocratiche.
Secondo me ognuno deve ritagliarsi un momento intimo con se stesso e il mondo, dovremmo trovare tutti un piccolo spazio dove si respiri con calma e si ragioni sulle cose che la vita ti dà da affrontare.
Per me quello spazio è la luce nascente del giorno.