Luciano Fadiga: alla scoperta dei neuroni specchio

Condividi questo articolo

Chi ha letto i miei libri sa quanta importanza hanno i neuroni specchio nella formazione della persona.

Ci tenevo che i miei lettori sapessero bene cosa sono i neuroni specchio, su “Heisenberg” non poteva mancare un’intervista dedicata a loro. E così sono andato a cercare uno dei membri dell’équipe italiana che per prima ha contribuito alla scoperta dei neuroni specchio e allo studio di questi particolarissimi neuroni che dai primi anni ’90 a oggi hanno rivoluzionato la nostra conoscenza della mente.

Lui è il professor Luciano Fadiga, ordinario di Fisiologia Umana presso l’Università degli Studi di Ferrara, e coordinatore del Centro di Neurofisiologia traslazionale dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.

Lui ha contribuito alla prima dimostrazione che un sistema di neuroni specchio esiste anche nell’uomo, indaga il legame tra rappresentazione dell’azione e linguaggio, e ci racconterà come i neuroni specchio possono aiutare nella neuroriabilitazione dei pazienti colpiti da ictus grazie all’osservazione dell’azione.

Il professor Fadiga è uno di quegli scienziati che non si sbilancia in meditazioni, quindi aspettatevi solo risposte concrete su argomenti concreti, per scoprire quanto mente e corpo sono connessi e ci connettono agli altri. 

I retroscena della scoperta dei neuroni specchio

scoperta dei neuroni specchio - Blog Rivista Heisenberg

Non è retorica dire che lei, con l’équipe di Giacomo Rizzolatti ha partecipato a una pagina storica della scienza in generale, ma soprattutto della scienza italiana. Agli inizi degli anni Novanta avete fatto la scoperta dei neuroni specchio, prima nelle scimmie e poi anche negli esseri umani.

La scoperta è stata raccontata in tanti libri, ma ci terrei che per i nostri lettori lei ci raccontasse il dietro le quinte: dove e come è nata l’intuizione?

Io e i miei colleghi stavamo facendo una serie di studi neurofisiologici sul cervello del macaco per capire come viene controllata la mano. In pratica registravamo l’attività di neuroni motori, cioè quelli la cui attivazione produce il movimento della mano stessa.

Un giorno, durante una pausa pranzo avevamo dimenticato acceso l’amplificatore che si usa per sentire l’attivazione dei neuroni, e mentre uno di noi (non ricordo bene chi) portava la mano alla bocca per mangiare qualcosa, abbiamo sentito la risposta nell’altoparlante. Abbiamo subito guardato la scimmia la quale ci fissava e non faceva nulla, ma il suo cervello si era attivato come per muovere la sua mano.

Incuriositi abbiamo ripetuto il movimento e i neuroni della scimmia rispondevano come se ci imitasse.

Abbiamo preso una telecamera per registrare queste risposte e dopo pochi giorni siamo andati a riferire al professor Rizzolatti, il quale (con l’acume che lo contraddistingue) ci disse che se quella scoperta era valida avevamo trovato le basi neurofisiologiche della “teoria motoria della percezione del linguaggio” di Liberman.   

Ci vuole spiegare? E soprattutto perché è importante questo aspetto del linguaggio? 

Senz’altro. Liberman era un ricercatore americano che negli anni Cinquanta era stato finanziato dal governo per studiare una macchina che potesse “riconoscere” il suono del linguaggio traducendolo in forma scritta. Lui si rese conto che con la potenza di calcolo dei computer di allora era impossibile questo traguardo, perché la parola “mamma” detta da un bambino di tre anni, da una donna o da un anziano di ottant’anni acusticamente è molto diversa.

E allora come facciamo a capire le parole pronunciate dagli altri? Per Liberman la risposta fu: quello che noi riconosciamo non è tanto il suono di una parola, ma il gesto articolatorio che ha prodotto quel suono e che viene ricostruito nel cervello di chi ascolta.

La scoperta dei neuroni specchio ha confermato tutto ciò.

Noi capiamo la parola “mamma” perché siamo capaci di riprodurre e interpretare gli stessi movimenti che l’altro produce, la bocca che si chiude per la “m” e si apre per la “a” e così via. Questa capacità, che è l’essenza dei neuroni specchio, per le scimmie vale solo per i movimenti finalizzati della mano e della bocca, ma per noi umani abbraccia una gamma molto più ampia, fino al linguaggio.

In che modo i neuroni specchio aiutano i pazienti colpiti da ictus?

neuroni specchio e ictus - Blog Rivista Heisenberg

Facciamo un piccolo riassunto storico. Se lei dovesse riassumerle brevemente per i nostri lettori, quali sono state le tappe dell’evoluzione della conoscenza sui neuroni specchio? E qual è oggi la frontiera più interessante?

Nel 1995 è uscito uno studio sull’uomo in cui abbiamo dimostrato che la corteccia motoria replica fedelmente un movimento osservato.

Nel ’96-97 abbiamo usato la PET (tomografia ad emissione di positroni) per vedere quali aree del cervello si accendono durante l’osservazione di azioni altrui e abbiamo scoperto l’area di Broca, molto importante per il linguaggio.

In seguito sono stati fatti studi sul ruolo dei neuroni specchio nell’autismo e altre ricerche ci hanno permesso di capire che non è solo la visione di un’azione ad attivare i neuroni specchio, ma che anche il sentire quell’azione senza vederla produce lo stesso risultato.

Per passare ad anni più recenti, abbiamo da poco scoperto che anche i ratti hanno i neuroni specchio. È una scoperta molto importante perché dimostra che il meccanismo è antichissimo nella storia dell’evoluzione, ed è un meccanismo di base che ci aiuta a capire quello che fanno gli altri in maniera automatica perché noi sappiamo fare la stessa cosa. Neuroni sono stati trovati in passato anche nel cervello degli uccelli, per il canto.

Per quanto riguarda le frontiere, sono molto promettenti i risultati dell’utilizzo dei neuroni specchio per agevolare la riabilitazione di pazienti che hanno subito ischemie o altre lesioni cerebrali. Attenzione, non mi riferisco a persone che hanno subito una lesione al midollo spinale, e quindi non possono “trasmettere” gli input nervosi dal cervello agli arti. Penso alle persone che hanno subito un danno alla corteccia cerebrale, quindi nella cabina di regia dove vengono decisi i movimenti.

Affascinante. Come fanno i neuroni specchio ad aiutare a muoversi chi ha subito un ictus, per esempio?

Il segreto è nel fatto che questi neuroni attivano le “rappresentazioni motorie residue”.

Sembra complicato ma è molto semplice.

Nell’area motoria del cervello c’è una sinergia fra diverse parti e neuroni. Se io devo comandare al braccio di prendere un oggetto e portarlo alla bocca, ci sono dei neuroni che hanno la visione complessiva di questo atto e che si trovano in aree del cervello contigue che comandano la flessione del braccio o l’apertura della bocca.

Se i neuroni che comandano la flessione del braccio sono danneggiati, si è scoperto che mostrando filmati del movimento (cioè portare un oggetto alla bocca) è come se facessimo “fare ginnastica” ai neuroni ancora integri (ad esempio quelli che controllano l’apertura della bocca) che così potenziano la loro capacità di “rappresentazione” del movimento e vanno a sostituire i neuroni danneggiati nel loro compito. 

Neuroni specchio ed emozioni

neuroni specchio ed emozioni - Blog Rivista Heisenberg

Vorrei fare un passo oltre. Si parla molto del ruolo dei neuroni specchio in relazione alle emozioni. Perché sono considerati così importanti per capire le emozioni? E quali sono i limiti di questo approccio? 

Sappiamo, come abbiamo visto, che se io vedo un altro fare un’azione in me si attivano gli stessi neuroni motori, ed è per questo che io capisco subito a livello fisico il movimento dell’altro.

Nel caso delle emozioni si immagina un meccanismo simile, cioè io vedo un altro provare gioia, paura o commozione e provo lo stesso.

Va detto che sono stati trovati, sia negli animali che nell’uomo, dei neuroni specchio legati all’emozione che si attivano quando un animale vede un altro provare dolore.

Ma la domanda è: siamo sicuri che quei neuroni che si attivano sono “specchio” o non sono neuroni di più alto livello, sede della “rappresentazione” del dolore, cioè il concetto di dolore?

Facciamo un parallelismo con l’arte e la visione. Se io guardo un quadro di Monet, è evidente che se non ho i neuroni della corteccia visiva non posso apprezzarlo, ma non sono quei neuroni che mi permettono di godere della bellezza, non sono loro che “sentono” quella bellezza.

Nel caso delle emozioni, queste sono molto più difficili da indagare dei gesti… 

Invece parliamo dell’imprinting che i genitori possono lasciare ai figli. Ci sono delle attività inconsce in cui “l’imitazione” fra genitori e figli è fondamentale per educarli. Anche in questo caso entrano in gioco i neuroni specchio? 

Certamente, faccio due esempi veloci.

Nei primi mesi di vita di un neonato, l’apprendimento della lingua della madre passa attraverso un’interazione stretta visivo-motoria fatta di ripetizioni di parole semplici, toni melodiosi, suoni scanditi.

Questo tipo di linguaggio ha anche un nome in inglese, “motherese”, e serve istintivamente alla madre a porre l’accento sulle parti delle parole che lei ritiene debbano essere rinforzate in questo processo di insegnamento.

In età un po’ più adulta, i figli assorbono dai genitori la loro postura fisica, il loro modo di parlare, comportamenti o atteggiamenti motori che non possono essere insegnati esplicitamente ma che passano attraverso l’attivazione dei nostri neuroni specchio dell’area motoria.

Quindi nel detto “è tutto suo padre” c’è un fondamento scientifico. 

Lei prima accennava alla scoperta dei neuroni specchio negli uccelli in relazione al canto. E anche al fatto che il meccanismo specchio è antichissimo nella storia dell’evoluzione, ma è anche alla base della socialità. Non è così?

Certamente.

Certi uccelli, pensi ai fringuelli o i pappagalli, hanno una capacità di modulare il suono incredibile, e sono stati studiati per vedere come degli animali più semplici dal punto di vista filogenetico rispetto ai primati, si comportano in un compito motorio estremamente complesso come quello del canto.

Complesso non solo per i trilli e i gorgheggi ma perché ha anche implicazioni sociali fatte di gerarchie, corteggiamenti e giochi di ruolo.

Quindi non è solo nelle scimmie che il comportamento motorio ha implicazioni sociali, ma anche negli uccelli e nei ratti.

Infatti, in generale i neuroni specchio si sono sviluppati particolarmente negli animali sociali, dove l’interazione con i membri della stessa specie o branco serve a fare gruppo, ed è quindi fondamentale riconoscere le intenzioni dell’altro comprendendole grazie al proprio corpo. 

Per concludere, mi pare di poter dire che l’importanza enorme dei neuroni specchio è sì quella di rivelarci funzioni mirabolanti del nostro cervello, ma anche di farci capire come cervello e corpo siano interconnessi intimamente, nel senso che le azioni o le emozioni si incarnano in noi anche quando le vediamo, le immaginiamo o le udiamo.

A questo punto parlo più all’uomo che allo scienziato: visto lo spostamento verso il virtuale della nostra società moderna, come cambierà il peso dei neuroni specchio nelle nostre interazioni?

Sinceramente non lo so. Condivido la prima parte della sua domanda, e cioè che cervello e corpo sono due facce della stessa medaglia, addirittura l’organizzazione spaziale delle varie aree del cervello riflette i rapporti che si sono sviluppati nell’evoluzione con il corpo.

I neuroni specchio sono importantissimi proprio perché collegano le rappresentazioni mentali con i movimenti corporei, ma hanno bisogno dell’interazione fisica, visiva. Invece ultimamente le cose stanno cambiando.

Le do un dato su cui riflettere: negli ultimi anni, per la prima volta nella storia dell’evoluzione dell’uomo da quando possiamo misurarla, l’intelligenza media degli uomini sta calando, i test di intelligenza che hanno sempre registrato un aumento negli ultimi secoli, adesso hanno una inversione di tendenza.

E poi l’esplosione del virtuale che ci ha investiti, ha ridotto moltissimo l’interazione fisica sociale. E questo a prescindere dai due anni di pandemia.

In ogni caso si stanno generando delle nuove forme di interazione che sono molto meno efficaci di quella fisica e reale.

Il fenomeno va visto fuori dai laboratori scientifici, tanto è vero che la società di Facebook vuole adesso creare il Metaverso, cioè un mondo in cui le interazioni avvengono tramite avatar che imitano i nostri movimenti reali, questo perché siamo geneticamente programmati per rispecchiarci nei movimenti degli altri, e un’immagine di noi che non si muove e non interagisce ci risulta inefficace e innaturale.

Qui smetto i panni dello scienziato, ma di sicuro posso dire che noi non siamo fatti per esprimerci con degli avatar. A meno che, forse, un giorno saranno gli avatar a fare le guerre al posto nostro, e noi potremo vivere la vita vera.

Continua la tua lettura iscrivendoti al Blog!

Inserendo i tuoi dati nella form qui sotto, potrai avere accesso GRATUITAMENTE all’articolo integrale pubblicato nella rivista mensile Heisenberg.

Condividi questo articolo

Leggi altri articoli del mondo di Heisenberg - la rivista ufficiale del Cervello Quantico

Tabella dei Contenuti

Scopri Heisenberg

La rivista ufficiale del cervello Quantico