Il periodo storico da cui per fortuna stiamo uscendo, ma anche le conseguenze che stiamo affrontando, ci ha messo e continua a metterci ogni giorno di fronte alle nostre paure, di fronte all’ignoto. Il nostro cervello, questa macchina meravigliosa che calcola rischi e benefici, è attrezzato per fronteggiare le paure e gestire tutto ciò che è imponderabile?
In questo numero ho deciso di affrontare questo tema a partire dalla scienza dura e concreta, la psicologia evoluzionistica, per capire le origini delle nostre paure antiche e quali sono le potenzialità della mente nell’affrontare le sfide e i pericoli che la vita ci pone.
Per farlo sono andato a intervistare uno dei più illustri psicologi cognitivi italiani, noto in tutto il mondo, Paolo Legrenzi, attualmente professore emerito di psicologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È impossibile citare tutti i suoi libri e articoli scientifici, ricordo l’ultimo Quando meno diventa più, edito da Cortina editore. Legrenzi è un grandissimo conoscitore dei meccanismi della mente, quelli che entrano in gioco nelle nostre decisioni economiche, nella nostra valutazione dei rischi, della componente emotiva delle nostre paure, quindi è la guida giusta per capire come la nostra mente può prepararsi ad affrontare l’imprevisto.
I modi in cui il nostro cervello gestisce le paure o reagisce ai presunti pericoli, sono molto antichi, per capirli dobbiamo rifarci all’evoluzione. Professor Legrenzi, lei spesso ci ricorda che la nostra mente risente ancora di certe eredità dei nostri antenati: ci può spiegare in che senso e come agisce nella nostra vita quotidiana la percezione dei rischi e l’illusione del controllo?
Faccio una premessa: il cervello è un potente strumento di conoscenza sensoriale e di comunicazione, ma ha anche una dotazione di emozioni che sono adattive in senso darwiniano, cioè ci permettono di adattarci meglio all’ambiente. La loro utilità è dimostrata dal fatto che in migliaia di anni l’evoluzione non le ha eliminate ma raffinate, sia nell’animale uomo che in altre specie.
Il grande problema delle emozioni legato al controllo e la gestione dei pericoli, è che in realtà l’architettura del cervello umano è erede dell’adattamento ad ambienti di vita molto diversi da quelli attuali, cioè quelli che hanno caratterizzato per centinaia di migliaia di anni i modi di vita dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori fino a quando non è nata l’agricoltura, diecimila anni fa. In questi ambienti, con tribù in competizione fra loro e in continuo spostamento, era fondamentale la capacità di reagire immediatamente agli stimoli ambientali per far fronte ai tanti pericoli. La celerità della reazione era importantissima perché spesso da questa risposta derivava o meno la nostra sopravvivenza.
Il nostro sistema di emozioni scatta subito per gli eventi improvvisi e imprevedibili, e che noi giudichiamo paurosi nell’immediato. Quindi ancora oggi, che dal punto di vista dei tempi biologici è passato poco tempo, il nostro cervello prova paura di fronte a eventi inconsueti e noi siamo inclini a reagire in fretta agendo per difenderci dal presunto pericolo.
Quindi questa nostra struttura del cervello emotivo che ci mette in guardia dai pericoli grazie alla paura ha un’origine evolutiva e tutto sommato ci ha permesso di sopravvivere bene. Ma oggi funziona meno questo meccanismo?
Sì. Già da tempo gli storici che avevano studiato le paure durante il Medioevo, anche se non avevano le misure che hanno fatto gli psicologi negli ultimi cinquant’anni, avevano comunque colto i modi in cui noi esorcizzavamo le paure per ridurle.
Nei secoli è successo che le paure si sono scollate dai pericoli veri, per cui oggi spesso non abbiamo paura di qualcosa di reale, ma del sentimento o delle aspettative false generate dalla paura. Ora, da un lato il meccanismo di funzionamento del cervello è automatico ed è sempre lo stesso, cioè esiste un enorme inconscio cognitivo che governa l’attenzione, le emozioni e le reazioni, di cui noi non siamo consapevoli, e dall’altro l’ambiente è mutato. Il risultato è che noi siamo vittime di emozioni di paura scollegate da pericoli immediati, in questo senso le nostre paure ci danneggiano, come se fossimo autolesionisti ma senza saperlo.
Faccio un esempio per introdurre meglio i lettori in questo ragionamento. Diciamo che millenni fa, un nostro antenato faceva bene ad aver paura e scappare al minimo fruscio nella savana, perché poteva essere un predatore. Ma oggi viviamo in un mondo molto più sicuro della preistoria e la realtà è molto più complessa di quella in cui si è evoluta la mente dei nostri antenati. Quindi quali sono le paure “sbagliate” di oggi?
La caratteristica generale che differenzia le paure antiche da quelle di cui dovremmo avere paura oggi, è che noi non riusciamo a pensare i pericoli su tempi lunghi, e non riusciamo a valutare il rischio di non prevenire quei pericoli.
In generale noi pensiamo di avere sotto controllo più eventi di quelli che effettivamente controlliamo, e con questa convinzione facciamo poco per prevenire. Ad esempio in occasione di ogni terremoto solo una piccola parte di case viene assicurata contro il rischio sismico.
Perché avviene questo?
Perché assicurarsi vuol dire investire a priori per anticipare un pericolo potenziale che oggi non si vede. La struttura istintiva e ingenua delle nostre paure non ci permette di cogliere l’imprevisto futuro ma solo quello immediato.
Un altro esempio che si può fare sulla percezione dei rischi odierni è il cambiamento climatico. Sia a livello individuale che di società vediamo il peggiorare della situazione, ma il costo della trasformazione nel tempo ci sembra così elevato di fronte a statistiche e previsioni che non tocchiamo con mano, che alla fine siamo restii ad agire. Ecco perché facciamo fatica ad ascoltare i climatologi.
Ancora un altro esempio. A ottobre 2020, durante la seconda ondata della pandemia, era emerso che a causa delle paure dovute al Covid i risparmi delle famiglie e delle imprese italiane erano cresciuti tantissimo, arrivando a toccare i quasi 1700 miliardi. Questi soldi fermi sui conti correnti erano una pseudo-assicurazione per poter rimediare a qualche imprevisto. In realtà è un ragionamento errato, perché basterebbe lasciare una piccola parte dei risparmi come sicurezza e il resto investirlo per il futuro, ma la paura ci paralizza. Un altro caso limite e molto studiato di conseguenze delle paure è quello del terrorismo.
Beh che il terrorismo faccia molta paura si può capire, la fonte della minaccia non è mai certa ed è assolutamente imprevedibile.
Sì, ma è interessante come noi lo valutiamo.
Un atto terroristico ci colpisce molto perché è un evento eccezionale che causa molte morti in un colpo solo. Ma gli incidenti automobilistici fanno molti più morti, solo che sono eventi a cui abbiamo fatto il callo, che non fanno notizia e quindi fanno poca paura. Quando c’è stato l’attentato alle Torri Gemelle nel 2001, è esplosa la paura dei viaggi in aereo che negli Stati Uniti è molto usato per gli spostamenti fra stati. La probabilità che si verificassero altri attentati con le misure di sicurezza adottate era bassissima, eppure anche chi affrontava abitualmente voli di 400-600-800 km ha preferito viaggiare in autostrada con grandi ritardi ma sentendosi più sicuro.
Il risultato è stato che invece sono aumentati esponenzialmente gli incidenti stradali con un totale di morti tre volte superiore ai passeggeri degli aerei morti nell’11 settembre. Dopo, però, come succede sempre, le persone hanno dimenticato quella paura, gradatamente sono tornate a prendere gli aerei e la percentuale di morti negli incidenti stradali è tornata nei suoi parametri normali.
C’è un modo per superare le nostre paure, io direi di “riprogrammarle”? Come possiamo educare la nostra mente a gestire le paure della maggiore complessità odierna?
Naturalmente noi non siamo condannati a ripetere questo tipo di errori sistematici e automatici della mente che si chiamano bias. Possiamo imparare a farne a meno.
Il grande problema per riuscire a superarli è che è richiesta un’educazione diversa da tutte le altre. Mi spiego meglio. Quando noi apprendiamo qualcosa culturalmente, introduciamo nella nostra mente e memoria concetti che prima non conoscevamo e poi conosciamo. Così avviene per la storia, la letteratura, la scienza, e così via.
Invece per superare le distorsioni cognitive di cui stiamo parlando non si tratta di aggiungere ma prima bisogna cancellare qualcosa che c’è già, un funzionamento automatico del cervello. Se lei prova delle paure di fronte a cose che non sono veri pericoli, come gli esempi che ho fatto, cosa fa? Deve imparare che sono pericoli sbagliati, imparare che non dovrebbe provare quelle paure, reprimere quelle paure automatiche e riflettere sulle paure giuste.
Molti aspetti della complessità del mondo moderno, per essere capiti, richiedono prima di cancellare il senso comune che ci programma, e poi riscrivere con le informazioni giuste tali convinzioni errate.
Ecco, ma a proposito di “riscrivere” le nostre programmazioni sbagliate, frutto dell’evoluzione, con le informazioni giuste, per contrastare l’incertezza, certi errori logici, la ripetizione di schemi abituali del passato, e la difficoltà a vedere chiaro oltre il presente, come possiamo fare?
Studiando, e non tanto per dire. Qualunque nozione storica o scientifica è utile a farci vedere dall’esterno i nostri meccanismi mentali.
Non ci dimentichiamo che noi ci siamo evoluti per centinaia di migliaia di anni con un orizzonte di sopravvivenza giornaliero o di breve raggio. I dati su cui costruiamo la visione del mondo non sono estesi nel tempo, ossia facciamo fatica a concepire la probabilità, l’incertezza e il rischio su periodi lunghi.
Pensi al caso delle assicurazioni. Nella Londra di fine ’600 Edward Lloyd nella sua taverna ebbe l’idea di cominciare a registrare gli incidenti navali, segnando le rotte pericolose e ponendo le basi per quel colosso mondiale delle assicurazioni che conosciamo tutti. Era il periodo dell’Illuminismo, e c’era grande entusiasmo perché si pensava che grazie ai dati statistici che ci aiutavano a valutare il rischio avremmo sviluppato il giusto senso del pericolo. Con la nascita delle assicurazioni si cominciò a misurare tutto, il pericolo dei viaggi, delle malattie, dei naufragi, perché calcolando la frequenza con cui si verificano certi fatti si può passare dall’incertezza – la paura cieca perché tutto può essere – al rischio, che invece può essere quantificabile e ci permette di programmare il futuro.
Dopo due secoli e mezzo da quel periodo, gli psicologi cognitivi a metà del ’900 credevano che questo tipo di conoscenza sull’oggettività dei pericoli avesse modificato la struttura delle paure nella nostra mente, e invece con grande stupore scoprirono che ragioniamo ancora con le stesse paure del medioevo o prima.
Anche in campo logico scontiamo certi difetti della nostra eredità evoluzionistica. Ad esempio, nella vita quotidiana andiamo sempre alla ricerca di conferme alle nostre opinioni, non cerchiamo le situazioni che ci darebbero torto, perché sarebbe una perdita di tempo. Invece la scienza, ma anche il marketing e la ricerca di nuovi prodotti si basano su una strategia “falsificazionista”, cioè andare a cercare l’imprevisto, l’imperfezione o ciò che manca nelle nostre credenze consolidate. Questa è l’anima della concorrenza in ambito economico e tecnologico ed è anche la dimostrazione che la mente può correggere i suoi difetti evolutivi.
Finora abbiamo parlato dei difetti della nostra mente frutto dell’evoluzione. Spostiamo invece l’accento sui pregi, ad esempio le emozioni che ci aiutano a vivere meglio, come l’empatia e la capacità di progettare il futuro. Ci può spiegare le origini dell’empatia e i suoi risvolti positivi nella nostra vita?
Anche l’empatia ha un’origine molto lontana, ed è la capacità immediata di vedere nelle azioni di un altro una sorta di rispecchiamento dei meccanismi che producono in me quelle stesse azioni o emozioni.
L’empatia è un’ottima dotazione dell’evoluzione, è potersi proiettare negli altri e vedere il mondo con i loro occhi, mettersi nei panni degli altri, ed è molto utile nelle negoziazioni, nelle relazioni.
Nel mondo complesso di oggi noi abbiamo troppa fiducia nelle nostre convinzioni e troppo poca negli altri. Questo perché sopravvalutiamo i casi in cui gli altri ci hanno causato danni o imbrogli. In realtà, nelle relazioni umane l’empatia è benefica: se facciamo affari, ad esempio, ci saranno diciamo 2 persone su 10 che ci inganneranno, ma in 8 casi su 10 è conveniente fidarsi degli estranei. Infatti i grandi uomini d’affari danno sempre fiducia ponderata, e se poi si scopre mal riposta in qualcuno la ritirano, ma non rinunciano alla fiducia, perché normalmente le persone non imbrogliano e i vantaggi di un atteggiamento empatico sono molto superiori agli svantaggi.
Per concludere professore parliamo della capacità di progettare il futuro. Le ho sentito dare questa definizione di autocontrollo: “la capacità di porsi obiettivi lontani e di controllare le nostre emozioni in funzione di quegli obiettivi”. Quali errori dobbiamo evitare per potenziare questa nostra capacità, per non disperdere energie psichiche?
Il mio suggerimento è sempre di provare a costruire un futuro più lungo di quello che ci verrebbe spontaneo costruire.
Il successo nel mondo contemporaneo implica, a differenza dei nostri antenati, archi temporali lunghi. Si studia molti anni per aumentare il capitale umano, il che avrà conseguenze enormi sulla nostra professione e poi sul benessere della nostra futura famiglia.
Naturalmente questa educazione e investire sul capitale umano non vale solo per percorsi universitari d’eccellenza. Vale per tutti i grandi obiettivi per i quali siamo stati capaci di proiettare nel futuro il desiderio avendo così la forza di non cedere alle delusioni momentanee.
Pensi al caso di Steve Jobs, veniva da una famiglia non con grandi mezzi, ha fatto solo un anno di college, ma aveva una tenacia enorme e un’idea chiara, ha sperimentato su prototipi finché non è riuscito a creare una delle aziende più ricche al mondo. Si dirà, questione di talento. Vero, ma il guaio dei media di oggi è che si valorizzano le eccezioni e si ignorano tutti gli altri. Per tutti gli altri, che magari non hanno il talento del genio, vale il discorso che sto facendo, cioè di saper vedere obiettivi lontani e accumulare energie in quella direzione.