C’è un modo diverso di vedere la religione, e il testo sacro per eccellenza, la Bibbia, che secondo Diego Passoni ha a che fare con le nostre vite, le nostre scelte e chi siamo davvero oggi più che mai. Ce lo spiega con metafore e intuizioni sorprendenti lui, voce nota di Radio Deejay, persona coltissima ed eclettica, che ha da poco pubblicato con Mondadori un libro il cui titolo è tutto un programma: Siamo tutti sulla stessa arca. Cosa ho imparato dalla Bibbia su di me, sugli altri e sulle nostre vite incasinate.
Ti ho sempre conosciuto come una delle voci più familiari di Radio Deejay, e quando ho scoperto, ascoltandoti una sera in tv durante un’intervista che la tua vita è stata incredibile e che hai unito due qualità per me fondamentali che sono la curiosità e l’intelligenza, ho sentito che dovevo leggere il tuo libro. Ma partiamo dall’inizio: da giovanissimo hai una forte vocazione religiosa, poi diventi ballerino, deejay, hai una carriera radiofonica e televisiva che ti porta ai massimi livelli, e adesso, al tuo secondo libro, hai scelto di tornare alle origini, hai scelto di raccontare la Bibbia in chiave “motivazionale”, cioè facendo capire che i suoi temi non hanno a che fare con una realtà lontana da noi ma con le “nostre vite incasinate”, come recita il sottotitolo.
Ci racconti da dove è nata l’idea di questo libro?
È nata come necessità mia personale. Durante il primo lockdown siamo stati chiusi in casa per mesi. In primavera ed estate io mi alzavo presto al mattino, andavo sul mio terrazzino e guardavo il sole sorgere. Avevo voglia di cominciare la giornata con un nutrimento per l’anima, e ho sentito la necessità di riprendere in mano la Genesi. Ho recuperato una copia in ebraico che non avevo mai letto con attenzione, e ho pensato che avevo tutto il tempo di godermi quel libro, il libro fondamentale. Considera poi che la versione rabbinica della Genesi ha dei punti di vista diversi rispetto alla cultura cristiana, forse più aderenti al senso di chi l’ha scritta. Non dimentichiamo che l’Antico Testamento è un testo che racchiude l’identità della cultura ebraica che il cristianesimo ha fatto proprio dopo secoli.
Al termine di questa lettura che mi ha fatto “riscoprire” la Bibbia mi sono detto: ma perché la gente non deve sapere quanto questo libro parla di noi. Io stesso, che l’ho letta tante volte, ogni volta trovo letture di me diverse, perché in passato la leggevo trovando altri significati.
Questo perché la Bibbia è un testo che non ti dà le risposte ma ti suscita delle domande.
Ed è fondamentale capirlo, per secoli lo abbiamo preso come il Libro che ha tutte le risposte, ma è fuorviante. Il primo libro di crescita personale della storia è la Bibbia. Non è un libro in cui Dio ha scritto come mi devo comportare. Al contrario, la Bibbia è la storia di esseri umani che hanno trovato la modalità di lasciarsi interrogare dalla vita e quindi con tanti errori si sono chiesti come era giusto agire per trovare il proprio spazio interiore.
La storia di Abramo è quella di un uomo ricco, che aveva tutto per l’epoca, ma che sente che nella sua condizione non vi era lo spazio per ritrovarsi. E decide di andare oltre le false certezze per capire chi è…
Infatti, quando parli di Abramo nel tuo libro, spieghi che Dio nel chiamarlo non gli dice lascia la tua famiglia e la tua posizione, ma la traduzione esatta sarebbe “vai verso di te”, cioè verso la tua vocazione personale. E tu dici che questa vocazione è qualcosa di molto diverso dalle ambizioni personali, dal desiderio di riuscire, di arrivare. Eppure quando oggi pensiamo a ciò che vogliamo essere, pensiamo alle nostre aspettative, desideri, ambizioni.
Come facciamo a distinguerli da ciò che siamo davvero?
Bella domanda! Noi siamo fortemente influenzati dal nostro tempo, viviamo immersi in un sistema in cui ciò che conta è la crescita: dobbiamo vendere di più, affermarci di più. Con i social, questo sistema – che non giudico come bene o male in sé, ma come dato di fatto – ha cambiato forma, ci ha trasformati tutti in brand, per cui pensiamo alle nostre vite come una performance aziendale, che punta sempre al top. I nostri figli li stiamo crescendo con i talent, “esercitati perché hai un talento che puoi monetizzare” è come se gli dicessimo, pensando che il talento sia al servizio del successo. Questo è il sistema in cui viviamo e non possiamo cambiarlo.
Ma se vogliamo distinguere fra ambizioni e vocazione dobbiamo purificarci da questo modo di pensare che il sistema ci chiede. La vocazione non è il successo, è il senso che vuoi dare alla tua vita. Ed è personale. E non dipende dai talenti, perché i talenti potrai metterli a frutto oggi, o forse domani, o forse ci sarà un momento in cui salteranno fuori altre cose di te. Ma il punto non è “cosa devo fare per avere successo”, non conta sapere come devo applicare le mie capacità per sfondare in questo sistema. Perché in questo modo siamo al servizio, siamo pedine del sistema. Ma noi che ruolo vogliamo avere nel gioco della vita? Prima o poi dobbiamo giocarcela noi la partita, ma non con le regole degli altri.
Quando dicevo che la Bibbia è un libro motivazionale, oggi più valido che mai, intendevo proprio questo. Abramo era un uomo ricco, realizzato, ma a un certo punto ha la lucidità di sentire che quello che aveva non era tutto. Ha capito che stava sprecando la sua vita. La mia vita può essere solo stare bene, avere i soldi e il riconoscimento? È tutto qui? Per molti sì, ma per Abramo no. Il suo viaggio, il viaggio di ognuno di noi, comincia quando capisce che c’è altro nella vita, e che noi siamo molto di più delle aspettative che ci impone il mondo esterno.
Vorrei farti una domanda che riguarda te, cioè le tue scelte nella vita. Di solito, quando capiamo che c’è altro e iniziamo il viaggio dentro di noi, compiamo un atto liberatorio che permette alla nostra parte più vera di spiccare il volo rompendo tutti gli schemi e le programmazioni che ci opprimono.
Tu hai mai vissuto un momento simile? Ce lo vuoi raccontare?
Ti posso raccontare due momenti della mia vita.
Il primo è quando ho deciso di investire nell’opportunità della radio come mio futuro. Il mio inizio con la radio è stato un caso. Lavoravo in televisione, poi ho conosciuto La Pina, siamo diventati amici e quasi per gioco sono finito a Radio Deejay dove lei già lavorava. Linus dopo avermi sentito in diretta mi ha voluto dare la possibilità di fare radio, ma il compenso era solo un rimborso spese minimo. Lui probabilmente pensava che sarei andato in radio una-due volte a settimana a fare qualche intervento. Dall’altro lato i miei amici mi dicevano “ma come? non ti pagano, non danno il giusto valore alla tua persona?”
Io invece ho deciso di cogliere questa opportunità: mi sono detto “dimostra che hai un valore, datti un anno e dài il massimo”. Per mantenermi per un anno ho fatto altro la sera, e alla fine ho avuto il mio contratto e sono in radio da 15 anni. Mi sono liberato da un concetto limitativo: gli altri mi dicevano “non farti sfruttare”, ma io volevo dimostrare a me stesso che potevo fare radio e ho saputo investire sul mio futuro perché ho capito cosa mi piaceva. E quando l’ho capito è come se si fosse acceso un motore dentro.
E l’altro momento qual è stato?
L’altro momento liberatorio riguarda le mie ambizioni televisive. Fino a qualche anno fa ho fatto diverse cose sia in radio che Tv. Per un po’ di anni ho sperato che si presentassero occasioni buone in televisione, considera che il mio è un lavoro in cui fai spesso progetti, test, e magari poi il tuo ruolo viene dato a un altro. Fa parte del gioco, ma io ci speravo che le cose andassero bene in televisione, e ci ho sofferto a lungo perché non è successo.
Finché ho deciso che non potevo continuare in questo “deficit di gratitudine”, ero contento però… mancava sempre qualcosa. Ho deciso di cambiare del tutto prospettiva. Mi sono detto: “Guarda cos’hai e cosa non hai. Puoi desiderare ciò che non hai, ma prendi le energie che sono frustrate perché non arriva ciò che non hai, e mettile in quello che hai. Fai 100 volte meglio che puoi quello che hai, e goditelo, perché è molto”.
Così mi sono liberato da una tranello in cui cadiamo tutti, cioè guardare sempre quello che ti manca e non quello che hai. Che non è un messaggio buonista ma pragmatico, perché quello che hai e trascuri può ancora svilupparsi tantissimo e in molti modi che non vedi. Sei solo tu che ti crei dei limiti su come puoi vivertelo. Devo dirti che quando l’ho capito, è come se mi fossi liberato da tutte le frustrazioni. Adesso occupo il mio tempo in ciò che mi piace e non ho rimpianti.
Un concetto molto bello, grazie! Tu dici anche nel tuo libro che quando vogliamo accedere a un livello superiore dobbiamo sempre sacrificare qualcosa. Il guaio è che decidere cosa sacrificare, e prima ancora capire cosa lasciare andare per poter progredire, non è affatto semplice. Ci vuoi spiegare questo tuo concetto?
Faccio una premessa: viviamo nell’epoca migliore di tutta la storia dell’umanità, godiamo di un sacco di opportunità e benessere, e vediamo il sacrificio in senso cattolico come sofferenza, privazione. Ma sbagliamo: il sacrificio è scelta.
Mi spiego con una metafora. Per me la vita felice non è un menù con il tris di primi, che è un classico dei matrimoni. Non è un caso se poi non ti ricordi quel tris perché alla fine non puoi mangiare tutto, se mangi tutto non gusti niente. Fuor di metafora la vita è un po’ così. Di cosa abbiamo voglia davvero nella vita? Per godere veramente di una cosa bisogna scegliere e non farsi distrarre dal superfluo.
Ti faccio un altro esempio. Se io avessi sacrificato le ore passate negli ultimi dieci anni a vedere reality e le avessi dedicate allo studio adesso sarei laureato. Noi ci facciamo togliere tempo perché la vita ci fa passare davanti 100 piatti e per assaggiarli tutti non ci resta tempo per noi. Invece è la capacità di selezionare che fa la differenza.
E quando abbiamo messo a fuoco ciò che davvero conta per noi, dobbiamo resistere a ogni cedimento, questa resistenza – il lavorio per raggiungere i tuoi obiettivi – è un po’ come sfregare le pietre focaie delle tue passioni. Hai presente la dinamo nelle biciclette? La Cabala dice che la resistenza genera luce.
Bellissima immagine, ma per perseverare in quello che noi vogliamo dalla vita, in quello che crediamo di essere e meritare, a volte ci troviamo davanti al giudizio degli altri. Traendo spunto dalla tua esperienza di vita, che suggerimenti daresti ai nostri lettori per liberarsi del peso del giudizio altrui?
Il primo giudizio di cui liberarsi è quello verso noi stessi. Noi crediamo che gli altri pensino e agiscano come facciamo noi. Non essendo nella testa degli altri applichiamo su di loro i nostri schemi mentali. Se prendiamo la storia di Abramo, sua moglie Sara, che vuole a tutti i costi un figlio, spinge il marito ad accoppiarsi con la serva Agar che lei considera poco più che un oggetto. Ma dopo che Agar rimane incinta, Sara pretende che sia scacciata perché “l’ha guardata con superbia”. In realtà Sara vede in quello sguardo la “sua” superbia, quella della padrona che ha usato la serva e non accetta di essere guardata da chi per lei è un oggetto. E quando Agar vaga nel deserto e viene salvata dall’angelo di Dio, questi gli dice di tornare indietro perché sarà madre di una stirpe. L’angelo le sta dicendo che lei vale tantissimo, e questo discorso vale per tutti noi. Tu hai il potenziale per essere tantissime cose che nemmeno ti immagini. E infatti Agar ringrazia Dio che l’ha salvata chiamandolo “tu Dio che mi hai guardato” nel senso di vedere nel modo giusto senza giudicare.
Quindi la prima cosa è conquistare uno sguardo su di noi che non sia giudicante. Perché i giudizi sono come delle condanne autoinflitte: “Non valgo niente, tanto a me va tutto storto, figurati se io posso farcela…”. Non ce ne rendiamo conto ma queste cose sono delle profezie auto-avveranti che se ci crediamo finiscono appunto per avverarsi. Ecco perché liberarsi dai giudizi è fondamentale.
Infine vorrei farti una domanda per me molto importante. Io oltre 15 anni fa ho creato il metodo del Cervello Quantico che unisce i 3 livelli del cervello umano: quello razionale, quello energetico e quello emozionale. Attraverso lo studio delle neuroscienze, che ci aiutano a capire come funziona la mente, della scienza delle emozioni, che ci spiega come gestire la parte inconscia di noi e delle antiche filosofie orientali, che ci riconnettono al Tutto.
La domanda che voglio farti è questa: non credi che la vera libertà dell’uomo consista proprio nell’unione di questi tre livelli? E che per farlo scienza e spiritualità devono imparare a comunicare nuovamente fra loro?
Sono d’accordo, scienza e spiritualità devono tornare a comunicare come un tempo, quando spirituale e materiale (cioè ciò che è scientifico) non erano separati. Del resto gli scienziati hanno qualcosa di molto simile ai profeti: entrambi hanno la capacità di vedere il presente al di là delle apparenze, e capire con una certa dose di intuito come le cose possono andare. Noi crediamo che la spiritualità sia slegata dalla materia, ma non è così, c’è qualcosa che non si vede ma che tiene tutto insieme.
Le intuizioni più grosse sono sempre legate alla ricerca di qualcos’altro che va oltre le leggi conosciute, che noi uomini, fortunatamente, cerchiamo sempre di superare.