Ci sono storie che sono l’esempio perfetto di quello che io intendo con “aprire il campo delle infinite possibilità”. Questo mese sono volato (virtualmente) negli Usa per incontrare Andrew Basso. Per chi non lo conoscesse è un italiano, 35 anni, che è diventato l’erede indiscusso del celebre mago Houdini, il più noto illusionista ed escapologo del ’900. A 8 anni ha scoperto la sua passione vitale, la magia, e con le sue sole forze e tanta determinazione è riuscito a realizzare quel sogno, diventando una star internazionale, stella di punta dello show The Illusionists – direct from Broadway, conquistando milioni di spettatori. Di certo non ci rivelerà i trucchi per liberarci da catene e manette, ma come realizzare un sogno anche se può sembrare impossibile, quello sì. E sarà una lezione preziosissima.
“Sono esattamente dove sognavo di giungere quando ero un bambino di otto anni”. Quante persone possono dire questa cosa della loro vita? È quello che scrivi alla fine del tuo libro Credi nell’impossibile (scritto con Salvatore Vitellino per Mondadori). E allora partiamo dall’inizio, Andrew. Come hai scoperto il tuo sogno a 8 anni? E come hai fatto negli anni successivi a non perderlo per strada, a non abbandonarlo mai?
Sembrerà molto strano dire che un bambino di 7 anni in un secondo ha capito quella che sarebbe stata la strada della sua vita. La prima volta che ho sentito tutta la mia energia muoversi dentro è stato quando ho scoperto il circo. Io sono nato e cresciuto in un paesino tranquillo del Trentino, Borgo Valsugana, dove non ci sono grandi spettacoli o eventi come nelle grandi città. Per questo il circo mi ha svelato l’idea di far parte di un mondo fuori dall’ordinario. Avevo deciso: avrei aperto il mio circo. Così mi allenavo a fare il giocoliere, imitavo i clown, insomma qualunque cosa per replicare la magia dello spettacolo.
Poi a 8 anni, in una fiera a Bolzano, vedo un mago che fa il gioco dei tre bussolotti in mezzo a tanta gente. Poi dà in mano una pallina a mia madre, una la tiene nella sua mano, soffia e la pallina sparisce. Indica la mano di mia madre, lei apre e ha due palline. Guardo mia mamma in cerca di una risposta: come ha fatto? Ma soprattutto vedo i suoi occhi pieni di stupore.
È stato allora che ho capito che la magia sarebbe stata la mia vita, avrei cercato di replicare con tutti quel meraviglioso stupore negli occhi di mia madre.
Tu mi chiedi come ho fatto a non perdere la strada del mio sogno? Non ho un segreto o un metodo. Ti rispondo con un’altra domanda: come puoi pensare di vivere senza respirare? Non puoi. Ecco, quando trovi qualcosa, una passione, un lavoro, una missione, di cui non puoi nemmeno pensare di fare a meno, allora quello sarà il tuo vero sogno.
Oggigiorno sei stato definito il mago più sexy del mondo. Ma nel tuo libro racconti che a 10 anni eri molto introverso, un po’ sovrappeso, completamente disinteressato alle classiche passioni dei ragazzi, tipo il calcio, e passavi il tuo tempo a esercitarti nei trucchi di magia. Preferivi l’isolamento piuttosto che fingere di essere qualcun altro per stare con i compagni. Anch’io sin da ragazzino passavo tanto tempo a studiare come funziona la nostra mente, e nel tempo la mia passione è diventata la mia vita. Per cui mi affascina enormemente questa tua fedeltà a te stesso, alla tua passione, mai vacillata per tutti questi anni. Qual è il tuo segreto? Non ti annoiavi mai a stare da solo?
Sai, è normale che a 10 anni non vuoi perdere la considerazione degli altri, non vuoi restare isolato. Non è che io fossi un asociale, non volevo sentirmi diverso, ma “ero” diverso, e anziché andare nella direzione degli altri ho seguito la mia voce dentro. Per me non era una rinuncia passare il tempo da solo ad allenarmi.
Certo, non nego che all’inizio mi pesava essere considerato lo strano, il diverso, essere escluso. Ma avevo due alleati con me: la passione fortissima, e le soddisfazioni dei miei spettacolini che mi confermavano che quello che stavo facendo era giusto. Cioè, vedere la meraviglia negli occhi degli spettatori dei miei primi numeri di magia, ripagava tutto il tempo che passavo da solo. Se non ci fosse stata questa gratificazione, sarebbe stato difficile per me sopportare l’isolamento e la solitudine.
Il tuo numero più famoso è la fuga dalla Pagoda cinese. In pratica vieni calato a testa in giù in una vasca di vetro più stretta di una cabina telefonica, sei ammanettato, ti chiudono dentro bloccandoti i piedi e tu devi liberarti e uscire prima che ti finisca l’ossigeno. Un numero rischioso, e infatti da anni fai il training dei migliori apneisti per rallentare il battito cardiaco al minimo e resistere fino a 6 minuti senza ossigeno. Per concentrarti, anche a livello energetico, fai degli esercizi di “visualizzazione”, una tecnica che usano anche grandi sportivi. Ci spieghi in cosa consiste? Puoi dare qualche consiglio per applicarla nella vita di tutti i giorni?
Il numero della Pagoda cinese non è solo show, ma è a tutti gli effetti una performance sportiva. Perché raggruppa in sé la capacità di trattenere il respiro, la capacità tecnica di manipolare le serrature utilizzando solo una graffetta da disegno, e poi c’è la disciplina mentale per gestire lo stress di una situazione fuori dall’ordinario. Una delle tecniche mentali che utilizzo prima di salire sul palco è quella della “visualizzazione”. Mentre sono sdraiato ad occhi chiusi io vado a vedere il film di me stesso dal momento in cui mi alzerò dal camerino, step dopo step, fino alla esibizione in ogni suo minimo dettaglio. Quando poi andrò a viverlo realmente la mia mente è come se lo avesse già vissuto, e così ho la sensazione di avere il totale controllo degli elementi e posso concentrarmi su quello che faccio, mantenendo il battito cardiaco sotto i 50 al minuto in una situazione in cui chiunque avrebbe la frequenza dopo una corsa. Come applicare tutto ciò nella vita di tutti i giorni? Per controllare l’adrenalina e dare il meglio di noi stessi, io consiglio di “familiarizzare” con la scena e lo spazio che affronteremo. Devi sostenere un incontro di lavoro, un esame all’università? Visualizza con largo anticipo tutto quello che può succedere, cosa farai, cosa dirai, come ti muoverai, fallo tante volte finché ti senti sicuro. Vedrai che al momento opportuno saprai dare quello per cui sei preparato senza essere intralciato dall’emozione che ti frega. Con l’allenamento riesci a controllare le reazioni di paura del corpo, farfalle nello stomaco, sudore, ecc.
Mi ha colpito un dettaglio che racconti nel tuo libro e che ha un qualche collegamento con un metodo che io faccio seguire nella mia Guida Quantica III. E cioè la pratica di stilare una lista degli obiettivi, a medio e lungo raggio, per mettere meglio a fuoco il tragitto che devi percorrere e la strada che ti separa da qui al tuo traguardo. Come applichi questa strategia concretamente, ce lo spieghi?
Mi ricollego al discorso della visualizzazione. Per quanto riguarda i nostri sogni o obiettivi, spesso li teniamo come idee vaghe nella nostra testa. Ma se li “traduciamo” in un appunto visivo – un reminder, un oggetto ecc. – che rappresenta concretamente la cosa che vogliamo raggiungere, cominciamo a rendere quella cosa, il nostro obiettivo, reale e tangibile, e se vediamo questo appunto ogni giorno diventa un campanello che ci ricorda sempre: “Hey, io sono qui, cosa stai facendo per avvicinarti a me?” Questo aiuta ad avere la rotta. Certo, in ogni campo ci vogliono passione, sacrifici, allenamento, ma esternare il tuo sogno in qualcosa di simbolico e oggettivo lo rende come un magnete, che attira la tua attenzione su ogni cosa compatibile con il tuo sogno. Ognuno può applicarlo dove vuole, per ogni obiettivo, grande o piccolo.
Vero, chi mi conosce sa che questi temi dell’attenzione e del mantra sono importantissimi. Veniamo invece alle paure. Nel 2012 mentre facevi la fuga dalla Pagoda al Sydney Opera House hai rischiato di morire. Sei quindi abituato a gestire la paura della performance controllando la respirazione e il focus. Ma come fai a gestire le paure che abbiamo tutti, quelle interiori? La paura di fallire? Di non comprendere in tempo i tuoi errori? Di sacrificare qualcosa di importante nella tua vita che poi rimpiangerai?
Sai, la gestione emotiva è un muscolo. Le tecniche di respirazione e visualizzazione di cui ho parlato, mi hanno insegnato a essere “presente a me stesso”, ad avere il controllo delle mie emozioni, adrenalina, ansia, paura. Ma soprattutto a conoscerle e a sapermi ascoltare.
Se ci pensi, con le paure più generali della vita che hai citato tu vale lo stesso meccanismo. Quando stiamo male per una paura, cerchiamo di riempire la nostra vita, di distrarci, pur di non affrontarla, ignorando il fatto che quella paura è il segnale di qualcosa che non va in noi. La verità è che la nostra fuga dalle paure alla fine non ce le fa conoscere. Ed è proprio perché non le vogliamo guardare in faccia che le nostre paure ci fanno paura. Invece ognuno di noi dovrebbe trovare il tempo per imparare ad ascoltarsi, e dare un’identità alle sue paure. Del resto, quando nelle relazioni o nelle scelte lavorative facciamo certe cose perché ci manca il coraggio di… il meccanismo è proprio questo, sbagliamo senza sapere perché sbagliamo, perché non siamo abituati a guardarci dentro. Solo quando conosci le tue paure puoi trovare le strade per risolverle.
Mi ha fatto ridere un episodio che racconti nel libro e che riguarda la tua prima Bmw Z3, David Copperfield e una direttrice di banca che ti ha detto no a un prestito.
Ora, tu dici: “a volte dobbiamo ringraziare quelli che ci dicono No, perché senza di loro non scatterebbe in noi quella grinta a superare l’impossibile e resteremmo fermi”. Ci racconti questo aneddoto e la tua filosofia dei No che fanno bene?
Nel nostro percorso verso i nostri obiettivi incontreremo sia persone che ci sostengono, sia altre che ci vogliono dissuadere, che ci dicono “ma dove vuoi andare”? La grande fortuna del mio carattere è stata la mia enorme testardaggine, finché non ci sbattevo la testa contro non accettavo i limiti e i “Lascia perdere”! Quando dovevo andare la prima volta negli Stati Uniti, a 18 anni, guadagnavo già facendo degli spettacolini nei locali, e mi ero comprato, grazie a un prestito in banca, una due posti alla James Bond, la Bmw Z3. Due mesi dopo, strada bagnata, esco fuori curva e distruggo l’auto contro un albero. Fine del sogno della decappottabile che dovevo ancora pagare. Ma avevo bisogno ancora di soldi per andare a un seminario mondiale di magia a Las Vegas. Torno in banca e spiego tutto alla direttrice, insistendo sul fatto che dovevo diventare un grande illusionista come David Copperfield. E lei anziché spiegarmi che non potevo dare garanzie e per questo non potevano farmi un altro prestito, mi smontò. Mi disse scuotendo la testa “Tu non diventerai mai come David Copperfield”.
È stato come un treno che mi ha investito. Ho sentito le bombe nucleari nello stomaco. Ma ho tradotto la forza negativa, destrutturante, che mi veniva dalla direttrice, in benzina, in aggressività positiva, che vuol dire la grinta per fare il di più che ti fa superare le difficoltà. In questi casi puoi accettare l’ostacolo e trovare una scusa per rinunciare, oppure puoi prendere quel No e trasformarlo in una spinta che ti fa fare un balzo in avanti. È questo il segreto, trasformare i No in benzina per la tua volontà.
C’è un episodio nella tua vita che mi piacerebbe condividere con i nostri lettori. Nei primi anni Duemila, appena arrivato negli Usa, sei andato a rendere omaggio alla tomba di Houdini a New York, e lì hai avuto un’esperienza “spirituale” che ti ha messo in contatto con lui. Ce la vuoi raccontare per salutarci, e cosa ti ha fatto capire riguardo la dimensione energetica in cui siamo immersi?
Mio primo viaggio a New York. Anziché andare a Broadway, a visitare la statua della Libertà, per me l’obiettivo numero uno era andare a visitare la tomba di Houdini, il mio mentore e mito, il più grande escapologo della storia che mi ha ispirato da quando ho 14 anni. Così prendo un taxi assieme a un accompagnatore e vado nel cimitero del Queens dove si trova il mausoleo di Houdini. C’era un’atmosfera grigia, invernale, con la foschia fra queste colline piene di lapidi alla rinfusa. Potevi aspettarti, nel silenzio tombale, che da un momento all’altro uscisse uno zombie. Quando alla fine sono riuscito a trovare la tomba, mi sono inginocchiato e ho poggiato le mani sul marmo. Mentalmente ho pensato “Maestro, sono qui”, e ho iniziato un dialogo mentale in cui l’ho ringraziato per avermi ispirato e insegnato a vivere il mio sogno. La cosa strana è che sentivo un dialogo, qualcosa mi parlava nella mia mente, non la mia voce, ma una voce paterna che mi dava consigli che non ho mai dimenticato. Non ero in trance, registravo tutto mentalmente, tanto è vero che negli anni seguenti quando mi sono trovato a fare delle scelte importanti mi sono ricordato dei consigli ricevuti e ho agito di conseguenza. In questo dialogo il tempo e lo spazio erano reali ma alterati, non era una fantasia. Lo dico perché quando sono tornato dal mio amico che mi accompagnava mi ha detto che era passata un’ora e mezza.
Cosa significa questo episodio? Credo che il luogo aveva creato una predisposizione mentale che ha reso il tutto un’esperienza spirituale vera. Nel senso che per me è stato un “ascoltare oltre”, non fisico, una risposta a tutte le cose che avevo letto e studiato su Houdini. Credo che tutti abbiamo la capacità di ascoltare la parte più profonda di noi se arriviamo pronti. Se non abbiamo le orecchie tappate dal rumore di fondo del quotidiano, possiamo andare oltre il qui e ora e mettere assieme i tasselli di un discorso che non potremmo fare altrimenti.