Viaggio all’origine della vita, fra Dna, memorie e programmi mentali.
In questo primo numero di “Heisenberg” ho deciso di incontrare una persona a me cara, e che ha la rara capacità di trasmettere il suo sapere emozionando. Medico, psicoterapeuta e counselor, negli anni si è dedicata agli studi sulla coscienza quantica e alla psicologia delle emozioni. Lei è la Dottoressa Erica Francesca Poli, e alcuni di voi la conoscono già perché hanno potuto ascoltarla parlare sul palco del mio ultimo Live “La Nuova Scienza del Cervello Quantico”. Gran parte del suo lavoro è incentrato sul potere della neurofisiologia delle emozioni, accanto ad una visione integrata della medicina che vede l’uomo nella sua totalità di mente e corpo. La incontro a Milano, nel suo Centro di Terapie Integrate, in un’atmosfera intima e rilassante.
Erica tu hai una formazione eclettica che va dalla medicina, alle neuroscienze alla spiritualità. Come sei arrivata ad abbracciare la tua passione, cioè lo studio degli esseri umani a tutto tondo?
Devo dire che per me è stato abbastanza naturale seguire questo percorso sin dall’inizio. Provengo da una famiglia in cui l’esplorazione rigorosa del mistero mi veniva dalla mamma filosofa e l’amore per la bellezza dal papà artista. Per molti anni ho praticato la danza, ma amavo tantissimo studiare scienze e filosofia. A un certo punto, al bivio fra la carriera di danzatrice e l’università, ha deciso per me il destino grazie a un infortunio. Ho scelto medicina. Devo tantissimo a questa disciplina, che mi ha fatto scoprire le domande urgenti a cui io volevo trovare risposta: “Perché alcuni si ammalano e altri no?” “Cos’è davvero lo stato di salute, lo spirito vitale?”
Oggi riconosco che mi sono ritrovata a fare da ponte fra le scienze moderne e “convenzionali”, e un mondo che è molto più attinente a saperi metafisici, filosofici, spirituali. Un campo di saperi che fortunatamente oggi cominciano a ricongiungersi com’era nel tempo antico.
Capisco bene cosa intendi, infatti l’essenza del Cervello Quantico è proprio quella di unire in un nuovo paradigma le neuroscienze, la fisica, le scienze di confine e gli antichi saperi, andare oltre le specializzazioni nate con la scienza moderna, per farci riscoprire l’integrità dell’Uomo nelle sue infinite possibilità.
Vero, ti rispondo in maniera ironica. Qualche mese fa avevo scritto un post su Leonardo e me l’ero immaginato che andava all’ufficio di collocamento. Gli chiedono “Lei per che tipo di professione si presenta?” E lui risponde “Genio!”
Fa sorridere, ma una volta c’era l’idea di un sapere che univa tanti aspetti ed era multisfaccettato. Oggi, nell’epoca delle iperspecializzazioni non saprebbero dove collocare uno come Leonardo, di fatto sarebbe un disoccupato.
Un aneddoto molto divertente! C’è un’altra cosa che mi è venuta in mente mentre ti ascoltavo poco fa e che mi preme chiederti: noi siamo abituati a pensare che esistano cose che non si possono cambiare. Tu ci insegni invece come addirittura anche l’espressione del nostro Dna possa essere modificata. Si può comunicare con il nostro Dna attraverso la fisiologia delle emozioni. In che modo?
Partiamo da un fatto. Ci sono molte cose nella vita di fatto immodificabili, la perdita e il dolore, per esempio. Però cos’è che possiamo cambiare? Tutto il resto, cioè come percepiamo e reagiamo agli eventi. Siamo fatti tutti da una serie di mattoni che sono ereditati, sono patrimonio collettivo, cioè i nostri geni, eppure cosa fa la differenza in ognuno di noi? La differenza è data da come tu li esprimi, come trasformi i tuoi geni. È questa l’essenza dell’epigenetica: tutti abbiamo un certo tipo di Dna, ma i geni di questo Dna possono essere accesi o spenti dagli input che arrivano dall’ambiente. E l’ambiente è fatto di aria, acqua, cibo, insomma la materia. Ma per fortuna anche da un ambiente emotivo, quello del nostro interno. Se alcuni si ammalano e altri no dipende anche dall’ambiente interiore, il terreno in cui può attecchire o meno la malattia.
Quindi mi stai dicendo che, ancora una volta, dobbiamo unire e non separare l’uomo, anche al suo interno, anche in campo medico.
Certamente! Se vogliamo dirlo con una metafora, non possiamo mai disgiungere il seme dal terreno in cui cresce, cioè i geni dall’ambiente in cui si esprimono. Il seme è lo stesso in qualunque terreno. Se tu sei una rosa, che tu cresca nel giardino della Reggia di Caserta o in una landa siberiana, esprimerai sempre la tua natura di rosa. Vuol dire che la tua essenza individuale viene preservata, ma è ovvio che una rosa in Siberia farà molta fatica a essere una bella rosa. Fuor di metafora vuol dire che il Dna è sempre lo stesso ma noi lo possiamo “modulare” in base all’ambiente interno. Oggi la scienza ci dice che la chiave per modulare il Dna sono proprio le emozioni, si parla di “Emotion revolution”.
Emotion revolution. Spiegheresti meglio ai nostri lettori di cosa si tratta esattamente?
Fino a pochi anni fa il mondo delle emozioni era esclusivo appannaggio di psicologia, religione e poesia. Da alcuni anni sono subentrate le neuroscienze che hanno iniziato a disporre di immagini del cervello in funzione, quindi hanno iniziato a studiare cosa succede al sistema nervoso centrale e periferico in diverse condizioni. Gli scienziati si sono così accorti che qualsiasi azione stiamo facendo o situazione viviamo, quello che si accende per primo è l’interruttore del cervello emotivo, un cervello antico, che porta dei programmi di attivazione per la sopravvivenza che condividiamo con gli animali e sono radicati nella parte più arcaica, primitiva e istintiva del cervello. Si tratta di programmi involontari, autonomi, che fanno funzionare che cosa? Le nostre emozioni basilari, che sono alla base del comportamento e le azioni.
Tutto molto chiaro, e quando possiamo dire che le informazioni esterne iniziano ad essere immesse all’interno del nostro cervello o, in senso più ampio, a livello della nostra coscienza? Cioè da quando iniziamo a essere “condizionati”?
Se andiamo a vedere cosa accade nella gestazione dopo le prime settimane, le relazioni fra le emozioni della madre e il Dna del feto, vediamo che l’ambiente della madre influisce sullo sviluppo. E l’ambiente materno è fatto della sua biochimica e del suo sistema immunitario, di quello che mangia, ma anche del contesto in cui vive, delle relazioni che ha con le persone che le stanno vicino, come il partner se c’è. E ancor prima il suo ambiente interno è fatto della sua esperienza di figlia, perché nella gravidanza il suo corpo ha memoria della gestazione che l’ha vista nascere e che lei non conosce, è il suo Dna che porta questa memoria. Noi siamo interazione, relazione sin dall’inizio, in questa grande danza che è la vita.
Ma se già appena nati si imprimono in noi delle programmazioni che ci guidano in modo così sottile, come possiamo trasformarle?
Beh, intanto bisognerebbe riconoscere tali programmazioni. E in questo caso un lavoro di divulgazione come il tuo è molto importante. Spiegare e aiutare le persone a riconoscere le credenze, i “copioni” con cui noi viviamo, come noi ci relazioniamo e ci attacchiamo o meno agli altri, è un ottimo strumento iniziale per capire poi come agire sui nostri meccanismi bio-psicologici.
Quando prima parlavo del nostro giungere al mondo, all’origine delle nostre relazioni, cioè come noi siamo stati accolti, come ci siamo interfacciati con le prime persone attorno a noi, tutte queste credenze inconsce ed emotive sono tradotte in modo fisico. Il bambino non ha un’attività di elaborazione mentale. Quello che vive come attaccamento e relazione lo vive sul corpo. Quindi lavorare a livello profondo su tutte queste credenze, copioni, programmazioni, e comprenderli in modo non freddo e mentale, ma emotivo, agirà necessariamente sulle memorie biologiche e quindi sul nostro corpo. Anche perché non dimentichiamo che le emozioni hanno dei correlati biochimici, oltre che vibrazionali.
L’emozione è energia, di fatto. Ed è facile capirlo. Quanto uno è triste dice “mi sento giù”, sta descrivendo il suo stato energetico. Però ogni emozione ha uno schema con cui si manifesta nel corpo, un meccanismo di attivazione nervoso e immunitario, ecco cosa sono i correlati biochimici, c’è la chimica della rabbia e quella della gioia, e sono cose diverse fra loro. Scoprire e sciogliere certi blocchi emotivi profondi vuol dire agire sulla nostra salute. E oggi la scienza lo sta dimostrando sempre di più.
Ma che impatto hanno i nostri pensieri sulla chimica e l’energia del nostro corpo? E a che livello avviene questo impatto?
Provo a rispondere con uno strumento concreto, che ho spiegato nel mio libro Anatomia della guarigione. Lo strumento si chiama Timeline, è ispirato a Paul Ekman, grande psicologo delle emozioni, e descrive il processo di reazione a uno stimolo. Immaginiamo di mettere davanti a una persona un serpente, che rappresenta lo stimolo di pericolo e attiva la parte più primitiva del cervello. Assieme però mettiamo anche una corda avvoltolata nell’ombra, che può essere scambiata per un serpente. Questo perché gli stimoli di pericoli possono essere esterni o interni, reali o immaginati.
Quindi anche stimoli immaginati diventano reali?
Certo! Noi creiamo la realtà col pensiero. Lo dice anche il Dalai Lama: il pensiero è la cosa più materiale che abbiamo. Nel momento in cui tu pensi una cosa la fai esistere, e questa produce una scarica dei neuroni dentro il tuo cervello. Anche se la cosa non è mai esistita, la scarica avviene lo stesso solo perché l’hai pensata o immaginata.
Ma torniamo alla Timeline. Nel momento in cui abbiamo uno stimolo, quindi il serpente o la corda, in un tempo che va da 20 a 200 millisecondi, un tempo che per la mente conscia è assolutamente non calcolabile, parte una concatenazione di reazioni che devono attivare il programma giusto per rispondere allo stimolo iniziale. Quindi fuggire se si teme che il serpente attacchi, o stare immobili perché non capiamo nell’ombra se è un serpente o un’altra cosa. Il sistema deve mettere in azione il comportamento migliore per sopravvivere.
Come avviene questa risposta a uno stimolo? Entra in gioco il cervello emotivo, si innesca una catena fisiologica che coinvolge il sistema nervoso, gli ormoni, che porta alla periferia le informazioni e poi le tradurrà in un comportamento. L’attivazione di questo “programma” così sofisticato è involontaria e noi non possiamo controllarla. Da dopo che è partito l’impulso, però, noi possiamo avere un ruolo. Cioè se siamo capaci possiamo controllare la reazione a catena delle nostre emozioni. Diciamo che c’è una specie di rapporto inversamente proporzionale. Quanto maggiore è la nostra capacità di percezione, di consapevolezza, di “sentirci”, tanto prima saremo in grado di intervenire rispetto all’attivazione del programma. Diversi studi hanno dimostrato ormai incontrovertibilmente che chi ha esercitato il “sentire” – con la meditazione, col lavoro emotivo, ma anche con la danza o la preghiera – è in grado di andare a ritroso fino al momento in cui si attiva l’impulso per dargli un senso, scegliendo lui come viverlo. Anche da neonati abbiamo tutti una grande vibratilità. Solo che crescendo perdiamo questa sensibilità. Per cui più rozzo è il sistema, più tardi riconosciamo l’impulso, a volte così tardi che ormai abbiamo già agito. Ed è quello che succede quando ci diciamo “tutte le volte mi riprometto di non fare così e poi lo faccio”…
Totalmente vero Erica, ti ringrazio davvero molto per questa splendida occasione di confronto e una volta in più sono contento di vedere che siamo allineati su concetti così importanti per la vita di tutti noi e che quello che la fisica quantistica ci sta portando a vedere è la danza dell’energia al di sotto della materia, che ci sostiene e ci guida verso un’evoluzione costante.