Hai mai provato a combattere la paura? Torna più forte di prima!
Ma allora com’è possibile trascorrere un’esistenza non condizionata dalla paura? E quanto ci costa esserne in balìa e vivere cercando solo di evitarla per la maggior parte del tempo?
La vergogna sociale
Ho affrontato molte volte il tema della paura nel corso di questi mesi qui su Heisenberg.
È un’emozione che ben conosco, perché è quella che mi ha accompagnato per anni e anni, sempre dentro di me, cercando di evitarla in ogni modo, sperando di sconfiggerla, a volte ignorandola, più spesso scappando o adottando comportamenti evitanti.
Ma ogni volta me la trovavo davanti, la sentivo nel petto, nella pancia, nelle gambe.
E allora pur di non sentirla non facevo ciò che invece mi sarebbe piaciuto davvero fare, lasciavo perdere e, come se non bastasse, mi vergognavo.
Eh sì, perché associata alla paura spesso c’è la vergogna sociale.
Chi si sente mai a suo agio nel dire “ho paura”?
Socialmente si è approvati se si è coraggiosi, se si è forti, se si è in grado di fare qualsiasi cosa.
Ma se si è spaventati, se si prova terrore o se si ha bisogno degli altri, quello no, non è ben visto e spesso si è giudicati senza delicatezza da chi abbiamo intorno.
Mi ricordo di quando ero ragazza, soffrivo di attacchi di panico.
O meglio, non è esatto dire così, perché non so se lo sai, ma di fatto l’attacco di panico generalmente è uno solo, il primo, e poi si vive per anni nella paura che capiti nuovamente.
Ebbene, uno dei sentimenti più forti che si associa a quel tipo di evento è la vergogna sociale.
Sembra incredibile ma il pensiero ricorrente era: “Ma se mi ricapita di stare male in mezzo alla gente chi mi aiuterà? Che cosa penseranno di me? Che figura farò?”.
Ed ecco che una paura già grande come quella di stare male si associa alla vergogna del giudizio degli altri e diventa così gigantesca e paralizzante.
Paura e vergogna nelle relazioni
Anche nelle relazioni esiste una buona dose di “cosa penseranno gli altri di me?” di fronte all’ennesima relazione finita male, o se siamo stati traditi o se non siamo riusciti a trovare qualcuno da avere vicino soprattutto nelle occasioni ufficiali come feste comandate, matrimoni, riunioni di famiglia o di vecchi amici.
Ma anche sul lavoro quando le colleghe parlano dei loro mariti o figli e tu magari ti senti esclusa perché la tua famiglia sono il gatto o la palestra. E non ti sembra mai abbastanza. E hai paura di essere l’unica al mondo che nessuno vuole veramente.
Io per anni mi sono sentita “monca” perché la mia famiglia era composta da due elementi, io e mia figlia, e non da tre, come “doveva essere” una famiglia per dirsi tale.
Vedi come è difficile separare paura e vergogna, vanno davvero a braccetto e si alimentano a vicenda… a tue spese.
Ho imparato, facendone esperienza, che le persone tendono a non raccontare davvero chi sono e come stanno, alimentando così la sensazione di isolamento sociale, quella voce nella testa che ti ripete: “Ecco tutti gli altri sono a posto, tu sei sempre l’unica ad essere diversa”.
Ma ho anche imparato che se tu fai il primo passo e inizi a dire la verità, c’è sempre qualcuno che ti risponde: “Anche a me è successo”.
E lì accadono dei piccoli miracoli.
La condivisione infatti è il primo passo verso la via della guarigione.
Saper dire chi siamo senza sentirci per questo sminuiti significa davvero che stiamo accettando il nostro essere nella sua interezza, senza cancellare quelle parti che pensiamo non siano degne di rispetto o per le quali ci siamo tanto vergognati.
Siamo tutti imperfetti eppure ci affanniamo a mostrare agli altri un “finto noi” che dovrebbe sembrargli perfetto.
Abbiamo tanta paura di essere sbagliati, così tanta che fa male.
Il campanello d’allarme
Gli ambiti relazionali in cui questa paura si manifesta sono tantissimi.
Prendiamo ad esempio il lato economico: se ne parla poco quando si tratta di relazioni, eppure i soldi hanno un’enorme influenza sulla serenità della relazione fra due persone.
Non sto dicendo che chi non ha problemi finanziari è sempre felice, sto dicendo che i problemi finanziari amplificano le difficoltà e rendono più arduo essere sereni nella vita di tutti i giorni, e quando si è una coppia o una famiglia, la mancanza di denaro spesso è drammaticamente un argomento quotidiano e una fonte di dissapori.
Ti faccio un esempio che uso spesso per far riflettere le persone su quanto sia delicato e ricolmo di emozioni profonde tutto ciò che è legato al denaro.
È considerato normale e accade abitualmente che ci siano persone con le quali siamo molto in confidenza: un’amica con la quale ci confidiamo i dettagli più intimi, un fratello o una sorella con cui parliamo di tutto, un collega di lavoro con il quale abbiamo stretto un rapporto sincero.
Con alcune di queste persone parliamo di tutto: siamo in grado persino di raccontare i nostri problemi di salute o se stiamo tradendo il nostro compagno.
Ma in nessun caso queste persone sanno quanti soldi abbiamo in banca, o l’esatto ammontare dei nostri debiti se li abbiamo, e noi non sappiamo i dettagli della loro situazione finanziaria.
C’è un enorme tabù legato a questo tipo di informazioni.
Le percepiamo come talmente intime da esserlo addirittura più della nostra sfera sessuale.
E abbiamo paura che rivelando quanti soldi abbiamo, riveleremmo il nostro valore, appunto.
E di nuovo paura e vergogna, la paura a braccetto con la vergogna.
Ovviamente non abbiamo paura solo di non valere abbastanza in relazione a quanti soldi abbiamo, ma anche in relazione al nostro aspetto fisico, alla nostra cultura, addirittura in base al luogo in cui siamo nati o la famiglia dalla quale proveniamo.
I motivi per cui abbiamo paura di non essere abbastanza sono innumerevoli, riusciamo sempre a trovarne uno che si adatta al nostro bisogno di restare al riparo, di non esporci, di non affrontare la sfida di provare a raggiungere i nostri desideri perché fa meno male non provarci che provarci e sentirci dire che non valiamo abbastanza per raggiungerli, e che siamo stati degli idioti anche solo a pensare di volerci provare.
Non so se ci avete mai fatto caso, ma con il passare degli anni, quando ci ritroviamo soli dopo una serie di tentativi di relazione andati male, tendiamo ad “abbassare il tiro” o meglio le nostre aspettative, pur di avere qualcuno di fianco.
E allora se a 20 anni ci sentivamo abbastanza sicure di noi per puntare al “più figo della compagnia”, a 30 abbiamo iniziato a guardare quello un po’ meno figo ma altrettanto simpatico e più affidabile.
A 40 dopo esserci magari separate con figli, ma ancora tutto sommato in forma, ci siamo messe con qualcuno con una situazione simile: ancora belloccio ma pure lui con prole.
A 50 la musica cambia definitivamente: archiviati gli amori di gioventù di solito si sceglie o di buttarsi a capofitto dietro a uomini interscambiabili con i quali si hanno più che altro storie di sesso in cui è lui, spesso più giovane, a fare un po’ il bello e il cattivo tempo, oppure ci si “accontenta” di qualcuno che magari non è che sia proprio George Clooney, e che spesso ha pure un caratterino che a volte non ci piace e poi altri difettucci che insomma cerchiamo di non vedere… tipo che è sposato, oppure che dice di essere separato in casa, però almeno proprio sole sole non siamo più.
Ecco, io credo che questo sia davvero l’abisso della paura della solitudine.
E credo anche che vada detto, anche se può apparire rude farlo.
Ma preferisco essere rude piuttosto che non dire ciò che vedo e sento: accettare, pur di non stare con se stessi, situazioni evidentemente e chiaramente degradanti, deve essere il campanello d’allarme che ci fa svegliare e ci fa rendere conto che quella che abbiamo intrapreso non è la strada giusta.
E che dobbiamo per forza fermarci e cambiare qualcosa.
Combattere la paura non è mai una buona idea
Come facciamo a sapere che siamo su quella strada?
È semplice, basta smettere di raccontarsi frottole e dire a se stessi la verità. Ognuno di noi sa sempre dentro di sé che se la sta raccontando.
Ci vuole coraggio? Sì, enormemente. Ma ce ne vuole ancora di più a fingere che sia tutto ok, quando invece non lo è per nulla.
E la paura? Come si fa con la paura? La risposta è una sola: la si porta con sé.
Sì hai capito bene, la paura non va combattuta, vinta, annientata, superata o evitata.
La paura fa parte di noi, e come tale va inclusa nel viaggio e attraversata come attraversiamo ogni altra emozione.
Senza identificarsi con essa.
Osho fa un esempio bellissimo delle emozioni, usando il cielo come metafora.
Lui dice:
“Tu sei il cielo. Il cielo viene attraversato dalle nuvole. A volte sono nuvole bianche, a volte solo nuvole nere. Alcune di queste nuvole possono oscurare il cielo. Come le emozioni attraversandoti possono oscurarti. Ma il cielo resta sempre cielo, così come tu resti sempre tu. Il cielo non si identifica con le nuvole che lo attraversano, così come tu non devi identificarti con le tue emozioni”.
Se ti identifichi con le tue emozioni, penserai di essere quell’emozione e ti sembrerà che quella sensazione sia eterna, sentirai di non avere via di uscita.
Invece quell’emozione passerà, così come una nuvola sospinta dai venti, e tu sarai di nuovo lì, come il cielo.
Comprendere profondamente questo semplice concetto è fondamentale per non farsi trascinare nel mare delle proprie emozioni e soprattutto per ricordarsi di non fare scelte che partono da quel tipo di identificazione.
Nessuna scelta va fatta quando la radice di quella stessa scelta è la paura.
Se lo farai, sappi che dovrai, di lì a qualche tempo, far fronte alle conseguenze di quella scelta, e non saranno mai conseguenze positive.
Quindi, di nuovo: non è mai il “cosa” ma è sempre il “come”.
Non è quello che fai ma come lo fai, da dove parte, qual è la ragione che ti muove in una certa direzione.
Guarda solo quello, non altro.
Non farti distrarre, resta su questo tipo di sensibilità, perché solo tu puoi imparare a riconoscere la “qualità” che muove le tue scelte e quella qualità, spesso sottile, farà tutta la differenza del mondo fra vivere una vita felice e una colma di disperazione.