Avere aspettative in amore, e in ogni altro tipo di relazione, significa tentare disperatamente di controllare ciò che non possiamo controllare: l’esistenza stessa.
Mettere in una “scatola” due persone tentando di renderle immobili mentre tutto intorno il mondo è in continuo, perenne cambiamento.
Riesci a immaginare un modo più efficace di creare sofferenza?
Cosa significa “avere aspettative”?
Se stai cercando un modo rapido e infallibile per incasinare le tue relazioni te ne posso suggerire uno davvero micidiale: le aspettative!
Ma che cos’è esattamente un’aspettativa?
Non tutti lo sanno in effetti. Spesso mi capita che mi chiedano: “Ma non avere aspettative significa non avere desideri?” oppure “Ma senza aspettative allora il futuro che cos’è?”.
Domande lecite, certo. Tutte le domande sono lecite, ma non tutte ci portano nella giusta direzione.
Anzi molto spesso le domande sbagliate sono proprio quelle che ci portano a conclusioni che hanno il solo risultato di impedirci una crescita o un miglioramento.
Come se dentro alcuni di noi ci fosse sempre quella vocina che vuole criticare, mettere in dubbio, giudicare, o più in generale “cogliere in fallo” qualcuno o qualcosa, così da non sentirsi minacciati, per la vecchia legge che è sempre meglio scegliere il certo che l’incerto, perché “chi sceglie la strada nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova”.
Sembra così vero: se resterai sulla strada che conosci in teoria non avrai sorprese.
Vero mica tanto, dico io.
La vita non fa sconti su una sola legge, che è quella dell’impermanenza.
Tutto cambia, panta rei, tutto scorre. Niente è immobile, tutto è in continuo e costante movimento.
Il che significa che se tenti di opporti a questa legge, se per paura ti attacchi a ciò che pensi di avere, sarai destinato a soffrire prima o poi.
Oltre ad aver passato la vita a cercare di trattenere l’esistenza con la sola forza della tua volontà. Ci si sente stanchi solo a pensarci!
Così come la vita, anche le tue relazioni subiscono la medesima legge dell’impermanenza e sono per loro stessa natura in continuo e inevitabile cambiamento.
Alla luce di questo, capisci bene che cercare di cristallizzare la relazione all’interno delle aspettative significa cercare di operare una sorta di controllo.
E dove c’è controllo non c’è libertà.
E dove non c’è libertà non c’è vita.
E dove non c’è vita non ci può essere amore.
La meraviglia del momento presente
Ogni volta che hai un’aspettativa su qualcuno, ogni volta che “ti aspetti” che si comporti in un certo modo o che faccia una certa cosa, stai automaticamente creando infinite possibilità di essere deluso.
Prova a pensarci sotto questa luce: nel campo di tutte le infinite possibilità che possono avverarsi rispetto a una situazione, tu ne scegli una e una sola che ti aspetti che avvenga.
Per tutte le altre resterai deluso, perché non saranno quello che ti aspettavi.
Riesci a immaginare la percentuale che hai di realizzare la tua aspettativa?
Te lo dico io: una verso infinito.
Eppure, continui a farlo ogni giorno e infinite volte. E gli altri lo fanno con te, beninteso.
Ti aspetti che sia una bella giornata, ti aspetti che il tuo partner sia disponibile nei tuoi confronti, che i tuoi figli – se ne hai – siano educati e non ti diano pensieri.
Ti aspetti che i tuoi colleghi siano gentili, che i tuoi clienti non abbiano rimostranze e non ti facciano perdere tempo. E così via… in un “loop” senza fine di aspettative, di tentativi di indirizzare ogni momento della tua giornata.
E non solo: ti aspetti anche di addormentarti velocemente e dormire bene. Alcuni si aspettano addirittura di poter controllare i propri sogni, in un delirio di controllo che non ha mai fine!
In questo modo non ottieni altro che uscire dal flusso dell’esistenza e metterti “di traverso” rispetto al momento presente, rispetto a quello che c’è.
E nella relazione con l’altro questo è un guaio ancora maggiore, perchè ti perdi la bellezza dell’inaspettato, la meraviglia del momento presente.
Amore o paura?
Prova a cogliere un fiore: lo ammiri per la sua bellezza, per il suo profumo. Ti piace così tanto che lo vorresti sempre con te. Lo strappi, e dopo poco tempo il fiore è appassito.
Non è più bello, non profuma. La sua essenza che ti aveva tanto incantato è svanita.
Questo è ciò che fai con le persone che dici di amare: ti innamori per la loro fragranza, per il loro profumo squisito, per come sono in quel momento.
Ma poi hai paura di lasciarle libere di continuare ad emanare il loro odore, le vuoi ingabbiare, vuoi la certezza che saranno sempre lì per te.
Lo capisci vero, leggendo queste righe, che tutto ciò ha poco o nulla a che fare con l’amore ma che si tratta di una storia di paura e di bisogno?
Ma da dove nasce tutto ciò?
Perché ci comportiamo tutti, chi più chi meno, in questo modo quando sentiamo di essere vulnerabili a causa del sentimento d’amore che proviamo per un’altra persona?
Come sempre dobbiamo tornare alla nostra infanzia, il luogo in cui ci siamo formati ed abbiamo fatto le nostre prime esperienze con il genere umano che ci circonda.
Il centro di tutta la nostra esperienza è stata nostra madre, o nel caso lei non ci sia stata, chi si è preso cura di noi al suo posto.
Immaginati un bambino piccolo, molto piccolo: è nella sua culla, piange, ha fame o ha freddo o ha paura.
Nel tempo che intercorre fra l’inizio del suo pianto e il momento in cui un adulto va ad accudirlo questo bambino piccolo piccolo prova una moltitudine di sensazioni, e sono tutte reali per lui dal suo punto di percezione: solitudine, vuoto, paura, sensazione di morire probabilmente.
Poi qualcuno arriva, lo accudisce, lo nutre, lo calma. E la sensazione di vuoto sparisce, sostituita con quella della sicurezza.
Ti ricorda nulla questa descrizione?
Per caso assomiglia a quello che provi quando il tuo amato o amata si allontana da te in modo brusco, magari perché avete litigato o perché ti ha lasciato, ma poi invece vi riavvicinate e tu ti abbandoni nel suo abbraccio finalmente al sicuro?
È proprio così. In quel momento stai rivivendo la stessa sensazione che provavi da piccolo.
Ed è per questo che per descrivere i nostri comportamenti nelle relazioni amorose si parla di “bambino emozionale” o meglio di “identificazione con il bambino emozionale”.
Identificazione con il bambino emozionale: come funziona?
Quel bambino è rimasto dentro di noi a livello energetico ed emozionale, appunto.
Non ce ne accorgiamo normalmente ma noi reagiamo a tutti gli stimoli attraverso questa identificazione.
Attenzione! Ho detto proprio a tutti gli stimoli.
Quindi, non solo in una relazione d’amore?
Proprio così: fino a che non ne diventiamo consapevoli, tutte le nostre relazioni sono regolate dall’identificazione con il bambino emozionale, sia che ci relazioniamo con il nostro partner, con gli amici, con i colleghi di lavoro, con i figli e a volte anche con gli sconosciuti (se la nostra identificazione è abbastanza forte).
Ma quali sono le dinamiche di questo bambino emozionale?
Essenzialmente una: cercare di evitare di sentire il dolore di quella ferita d’abbandono di cui parlavo sopra.
La maggior parte dei nostri condizionamenti si basano appunto sul tentativo, sempre fallimentare, di cercare di evitare di provare dolore o paura.
Una delle grandi favole che ci raccontiamo è quella che un giorno incontreremo la persona perfetta, la cosiddetta “anima gemella” che farà scomparire tutte le nostre paure e con la quale saremo finalmente felici.
Ecco perché il territorio delle relazioni è uno dei campi ideali per andare alla ricerca dei nostri blocchi emozionali, delle nostre ferite: perché è proprio lì che si annidano e di conseguenza si manifestano.
Fino a che non ci mettiamo faccia a faccia con le nostre paure e iniziamo un processo di guarigione, l’amore è impossibile da trovare e le relazioni sono impossibili da sostenere, se non a costo di immensi sforzi e sacrifici che hanno il solo risultato di stancarci, di renderci la vita un fardello insostenibile e, a volte, anche di spegnere il nostro entusiasmo verso la possibilità di vivere una vita felice.
Tornare a casa
Da dove partire quindi?
Nella mia esperienza il primo passo è quello di iniziare ad ascoltare quella voce interiore che inizia a farti venire il dubbio che forse non è sempre colpa dell’altro e che quello che ti sta capitando riguarda solamente te.
È un passo importante perché affrontare le proprie dolorose ferite spaventa tutti indistintamente.
Si ha paura di essere inadeguati o che le persone intorno a noi capiscano che ci sentiamo a volte incapaci o immeritevoli di essere amati o colpevoli per qualunque altra ragione.
Ci vogliono molta delicatezza e gentilezza verso noi stessi per riuscire a intraprendere questo viaggio che ci riporta a noi.
Immagina di essere nato e poi di aver camminato a lungo… ogni passo che hai compiuto fino ad ora ti ha allontanato da te stesso; e ora ti ritrovi in un luogo che nemmeno riconosci e vuoi semplicemente tornare a casa.
La tua casa è sempre lì, ti aspetta, non va da nessuna parte: è il tuo luogo dell’anima, quello della tua pace e felicità.
Ma per ritornarci è necessario che piano piano tu riesca ad abbassare tutto il rumore che arriva dall’esterno, i condizionamenti e le programmazioni, le canzoni e le poesie, le distrazioni e le false illusioni.
È solo nel silenzio che riuscirai ad ascoltarti davvero.
È come per la musica, ci vuole un po’ di “orecchio” e bisogna esercitarsi con costanza e amore.
Piano piano, gentilmente, comincerai a sentire la tua voce, a percepire le paure e le insicurezze, i traumi e i ricordi e tutto questo mondo inascoltato potrà un po’ alla volta emergere ed essere lasciato andare.
È un processo a volte lento, a volte difficile, ma meraviglioso e inevitabile.
È l’unico spazio che può accogliere chi sei veramente e sciogliere il tuo dolore, è lo spazio di amore, è la tua casa originale, che è sempre lì… dentro di te.